Dopo la sosta estiva eccoci al nuovo anno pastorale con tutta la sua bellezza di proposte, di impegni, di “sfide” evangeliche che ci chiamano di nuovo al rinnovamento personale e al rinnovamento della nostra comunità pastorale.
Gli esperti dicono che prima di una attività fisica è bene sciogliere il corpo, sciogliere i muscoli, per rendere le articolazioni più flessibili, per prevenire rischi e infortuni, per creare le condizioni ideali per una performance ottimale. E qui siamo di fronte a ben più di una attività fisica …
Per questo propongo a me e a ciascuno alcune “strategie per sciogliersi”.

Dal senso comune al senso evangelico

Un monaco diceva che pregare è sciogliersi … La vita ci pone sempre davanti scelte a volte bellissime e a volte complesse sia a livello personale che sociale, ma a un cristiano non basta il senso comune, il buon senso … a ogni cristiano è chiesto di vivere la vita alla luce del Vangelo, alla scuola di Gesù, Maestro e Signore. Per questo occorre dare tempo alla preghiera che è una specie di feritoia aperta attraverso la quale possiamo intravedere orizzonti inediti, possibilità nascoste, ritrovare forza, speranza e sciogliere le nostre durezze, le nostre chiusure.

 Occorre sentir battere il cuore del mondo all’interno del cuore di Dio,
come in una cassa di risonanza.
Quando si appoggia il proprio orecchio sul petto di Gesù,
si percepiscono in modo assolutamente diretto
gli s.o.s. di tutti gli uomini che attraversano il cuore di Dio
prima di raggiungere i nostri orecchi.
(Daniel Ange)

Dall’io al tu al noi a tutti

 Amare è il comandamento evangelico, l’amore è il centro e il cuore da cui tutto parte, amare è il fulcro dell’etica cristiana. Sull’amore si gioca la fede cristiana, ma l’amore è lo scoglio contro cui sbatte il nostro io, un io spesso gonfiato, incapace di vedere gli altri e il loro vero volto, incapace di vedere e accogliere il tu, il noi, il tutti. Eppure se davvero credessimo all’amore, se davvero credessimo alla straordinaria bellezza e alla straordinaria potenza dell’amore e del passaggio dall’io al noi al tutti, saremmo sicuramente più felici e avremmo un mondo, una Chiesa, una comunità pastorale più bella.

Al riguardo mi sono lasciato incuriosire dall’ubuntu, l’etica di origine sudafricana che si focalizza sulle relazioni tra le persone: “Io sono ciò che sono in virtù di ciò che tutti siamo. Io sono perché noi siamo. Ciò che faccio di bene o di male all’altro ricade su tutti”. L’ubuntu è una spinta ideale verso l’umanità intera, un desiderio di pace che esorta a sostenersi e ad aiutarsi reciprocamente, a prendere coscienza di diritti e doveri.

Questa è la strada da intraprendere sempre e nuovamente come comunità pastorale, come sacerdoti. Val la pena chiederci quanto cuore, quanto tempo, quanta generosità concreta racconta la nostra vita cristiana. So che è un cammino difficile, denso di difficoltà, ma anche aperto a mille felici possibilità.

Da Brontolo a Gongolo

Ho trovato questo gustosissimo racconto scritto da don Giacomo Panfilo, sacerdote della Diocesi di Bergamo:

I nani di biancaneve quanti sono? Per un puro caso, ho scoperto che nel 2006 è uscito un libro di Stefano Bollani intitolato La Sindrome di Bróntolo. Incuriosito, mi son subito chiesto che cosa mai potesse essere la sindrome di Brontolo e ho trovato che, secondo uno dei tanti sondaggi, la maggior parte della gente è convinta che i nani di Biancaneve non siano sette, ma sei. Tutti gli intervistati al momento di elencare i nomi dei nani si dimenticano immancabilmente un nome. Sempre lo stesso. La tendenza è quella di ricordare i nomi dei nani che nel nome stesso rivelano un difetto. Quindi Pisolo dorme, Eolo starnutisce, Bróntolo appunto brontola, Cucciolo è muto, Mammolo è timido, e infine Dotto è noioso. Il nano mancante è Gongolo, l’unico nano allegro. Secondo Sefano Bollani, la gente non rammenta il nome del nano gioioso perché trova più facile notare i difetti delle persone anziché i pregi. Proprio come fa Bróntolo. È questa la sindrome di Bróntolo: vedere solo il lato negativo delle persone e delle cose.

L’intuizione di Bollani, manco a dirlo, mi ha fatto immediatamente partire per la tangente ecclesiale, sulla quale viaggiamo tutti noi cattolici, sia laici che chierici, dalle scuole materne ai ricoveri della terza età, dalle parrocchie su su fino alla Santa Sede passando per le diocesi di ogni ordine e grado. Senza trascurare i vari Ordini religiosi e i più diversi movimenti ecclesiali, ognuno dei quali, manco a dirlo, è il più bello del reame. …

Per noi cristiani non è difficile vedere in Biancaneve un’immagine della Chiesa. La cura della sindrome di Bróntolo, che colpisce tanto anche noi, quindi è subito trovata. Sta nel non lasciarsi invischiare nel giro velenoso della diabolica signora del male (la superbia), ma soprattutto nel lasciarsi conquistare tutti insieme dal fascino della Sposa Bella (la Chiesa) e nel lottare per lei, a qualsiasi costo. Mons. Gaddi, il Vescovo della mia giovinezza sacerdotale, diceva argutamente che nella Chiesa c’è il diritto al mugugno (quindi c’è posto anche per i Bróntoli), ma, se si ama davvero la Fanciulla di-bianco-vestita, il mugugno non verrà mai acido, men che meno velenoso.

 Mi pare che questa storia abbia molto da dirci …

 

Dal pensiero chiuso al pensiero aperto

 Papa Francesco, con l’insistenza dell’amore continua a invitarci ad alcuni modi di vivere e pensare, richiamandoci ad avere sempre inquietudine, incompletezza e immaginazione. Perché solo l’inquietudine dà pace al cuore e sa farci consapevoli delle ferite di questo mondo e poterne individuare le giuste terapie. Perché chi sa di essere incompleto ha in dono un pensiero  aperto e non chiuso o rigido. Ci dice che chi si fa guidare dallo spirito profetico del Vangelo sa avere una visione originale, vitale, dinamica, non ovvia. Perché chi ha immaginazione non si irrigidisce, ha il senso dell’umorismo, gode sempre della dolcezza della misericordia e della libertà interiore

 Il “pensiero incompleto”  è un pensiero che non si chiude,
che non alza muri alla riflessione:
è un pensiero che pone sfide al dialogo.
Non è definitivo, statico o coercitivo.
È invece curioso, aperto, creativo, alla ricerca inquieta.
(Papa Francesco)

 

Dai confini agli orizzonti

Una persona a me cara nell’anniversario della mia Ordinazione mi ha scritto così:
“Mi sembra che queste parole della pittrice Frida Kahlo ti calzino a pennello: “Non far caso a me. Io vengo da un altro pianeta. Io ancora vedo orizzonti dove tu disegni confini”.

Credo possa essere questo il cammino di ognuno e della nostra comunità …

 

don Mirko Bellora
(mirkobel@fastwebnet.itwww.donmirkobellora.it)